Ipogeo romano è visitabile su prenotazione Via G. Sanfilippo
Ubicato nella ex Selva del convento di Santa Maria di Gesù, il monumento, impropriamente noto come “ipogeo quadrato” (per distinguerlo da un altro a pianta circolare che si trova nelle vicinanze), è in realtà una monumentale tomba di età romana imperiale (I-II sec. d.C.), tra le poche sopravvissute delle vaste necropoli di Catina che occupavano l’area a nord dell’attuale centro storico di Catania.
La tomba, che nel tardo Medioevo fu utilizzata come calcara dai monaci del convento, venne riscoperta dagli eruditi del XVII secolo. Raffigurata in un acquerello di J. Houel (XVIII sec.) e il alcune incisioni di S. Ittar (XIX sec.), essa sarà interamente scavata e portata in luce da F. Ferrara nei primi anni dell’800. Negli anni ’70 del secolo scorso la tomba è stata restaurata e resa visitabile all’interno di un’area attrezzata a verde.
Quanto resta dell’edificio si compone di una grande struttura a pianta rettangolare (circa 13 x 9 m), che mantiene uno spiccato di circa tre metri. La metà orientale dell’edificio è costituita da un massiccio corpo di fabbrica, mentre quella opposta è occupata da una camera quadrata parzialmente ipogeica, originariamente voltata, accessibile attraverso una scala dal lato corto occidentale. Al centro della parete di fondo si apre un loculo rettangolare; altre quattro nicchie, di dimensioni minori, si dispongono simmetricamente sulle altre pareti: una per ciascuno al centro dei lati nord e sud e due sulla parete d’ingresso, ai lati della scala. La muratura dell’edificio, del tutto analoga a quella dei maggiori monumenti di Catina, è composta da un potente riempimento in opus coementicium (calce, sabbia vulcanica e scaglie di pietra lavica) rivestito in opus mixtum, formato da parti in opus vittatum (uso di mattoni nei cantonali e su tre filari che corrono lungo tutta la base del monumento) e parti in opus incertum (blocchetti di pietra lavica irregolarmente squadrati e lisciati in faccia-vista).
Tutti gli studiosi concordano nell’ipotizzare che l’edificio avesse in origine un secondo piano, probabilmente inaccessibile, secondo un modello architettonico, di origine ellenistica, diffuso nel mondo romano dalla seconda metà del I sec. d.C. Sull’aspetto originario del secondo piano, che non ha lasciato altre tracce che non siano le possenti murature che lo sostenevano, si possono fare solo congetture.
da sito regione sicilia beni culturali
Ubicato nella ex Selva del convento di Santa Maria di Gesù, il monumento, impropriamente noto come “ipogeo quadrato” (per distinguerlo da un altro a pianta circolare che si trova nelle vicinanze), è in realtà una monumentale tomba di età romana imperiale (I-II sec. d.C.), tra le poche sopravvissute delle vaste necropoli di Catina che occupavano l’area a nord dell’attuale centro storico di Catania.
La tomba, che nel tardo Medioevo fu utilizzata come calcara dai monaci del convento, venne riscoperta dagli eruditi del XVII secolo. Raffigurata in un acquerello di J. Houel (XVIII sec.) e il alcune incisioni di S. Ittar (XIX sec.), essa sarà interamente scavata e portata in luce da F. Ferrara nei primi anni dell’800. Negli anni ’70 del secolo scorso la tomba è stata restaurata e resa visitabile all’interno di un’area attrezzata a verde.
Quanto resta dell’edificio si compone di una grande struttura a pianta rettangolare (circa 13 x 9 m), che mantiene uno spiccato di circa tre metri. La metà orientale dell’edificio è costituita da un massiccio corpo di fabbrica, mentre quella opposta è occupata da una camera quadrata parzialmente ipogeica, originariamente voltata, accessibile attraverso una scala dal lato corto occidentale. Al centro della parete di fondo si apre un loculo rettangolare; altre quattro nicchie, di dimensioni minori, si dispongono simmetricamente sulle altre pareti: una per ciascuno al centro dei lati nord e sud e due sulla parete d’ingresso, ai lati della scala. La muratura dell’edificio, del tutto analoga a quella dei maggiori monumenti di Catina, è composta da un potente riempimento in opus coementicium (calce, sabbia vulcanica e scaglie di pietra lavica) rivestito in opus mixtum, formato da parti in opus vittatum (uso di mattoni nei cantonali e su tre filari che corrono lungo tutta la base del monumento) e parti in opus incertum (blocchetti di pietra lavica irregolarmente squadrati e lisciati in faccia-vista).
Tutti gli studiosi concordano nell’ipotizzare che l’edificio avesse in origine un secondo piano, probabilmente inaccessibile, secondo un modello architettonico, di origine ellenistica, diffuso nel mondo romano dalla seconda metà del I sec. d.C. Sull’aspetto originario del secondo piano, che non ha lasciato altre tracce che non siano le possenti murature che lo sostenevano, si possono fare solo congetture.
da sito regione sicilia beni culturali